Una tassa sulle emissioni e un sistema fiscale che intervenga sul 'carbon pricing'. E' questa la ricetta del Fondo Monetario Internazionale per contrastare il cambiamento climatico dando un seguito concreto agli impegni presi alla recente conferenza Onu di Parigi. "La necessità più urgente e cruciale è riconoscere e sfruttare il potenziale ruolo delle politiche fiscali nell'applicazione degli impegni climatici presi da 186 Paesi nel contesto dell'accordo di Parigi", si legge in uno studio del Fondo sulle "implicazioni fiscali, macroeconomiche e finanziare del cambiamento climatico".
L'Fmi introduce quindi un tema molto caro al movmento ambientalista: "Al centro del problema - si legge ancora - ci sono le esternalità: le aziende e le famiglie non sono sanzionate per le conseguenze ambientali dei gas serra. Ha pertanto un ruolo centrale istituire un'appropriata tassa sulle emissioni, ovvero rimuovere l'incentivo implicito che arriva dal mancato sanzionamento dei costi ambientali".
La conclusione è che "per ridurre le emissioni, dovrebbe essere centrale il 'carbon pricing', attraverso le tasse o sistemi di trading che si comportino come tasse (...) ciò potrebbe essere lo strumento di mitigazione più efficace e più lineare da amministrare". Anche il sistema finanziario deve giocare il suo ruolo, aggiunge il Fmi, non solo con maggiori investimenti in tecnologie pulite ma con una valutazione puntuale dei profili di rischio climatico delle aziende quotate che aumenti la trasparenza e renda più agevole la transizione verso un'economia a basse emissioni.
Il Fondo nel suo documento fa sua anche una valutazione contenuta in uno studio di Roson e van der Mensbrugghe nel quale si sostiene che se aree come l'Africa sub-sahariana e il Medio Oriente sono destinate a pagare duramente le conseguenze del riscaldamento globale, la Cina avrebbe invece da guadagnare da un incremento della temperatura del Pianeta che aumenterebbe la sua superficie coltivabile.